2015
Affidamento incarico all’Associazione Murat Onlus per la ricerca delle ossa del Re Gioacchino da parte del Comune di Pizzo. UNA TOMBA PER RE GIOACCHINO MURAT di Giuseppe Cultrera
Uno dei più affascinanti misteri della storia potrebbe essere presto svelato. Il giallo risale a 192 anni fa. A Pizzo è il 13 ottobre del 1815 quando, all’interno del castello aragonese, le illusioni di un indomito re si infrangono nel fuoco di un maldestro plotone di esecuzione per diretta volontà del re Borbone. Si spegne, così, un’eroica esistenza costellata di successi e di gloria duramente conquistata ed ampiamente dimostrata sui sanguinosi campi di battaglia di mezza Europa. Il cadavere di quel re, Gioacchino Murat, per come poi raccontò Don Tommaso Antonio Masdea, canonico decano della Collegiata di Pizzo e confessore del Murat, viene poi riposto in un baule foderato di taffetà nera e sepolto nella Chiesa Matrice. Antonino Condoleo che assistette alla sepo1tura, così la descrive nella sua “Narrazione”, pubblicata da E. Capialbi: “L’insanguinato cadavere fu subito messo in una rozza cassa di abete e fu portata da dodici soldati nella Chiesa Matrice. Nel deporla a terra, per l’urto ricevuto o perché mal connessa, la cassa si aprì negli spigoli… Rattoppata alla meglio la cassa, con tutta sollecitudine, fu gettata nella fossa comune”. La prova di tale sepoltura, peraltro, si trova nello stesso Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice di San Giorgio Martire. Quando il cadavere del Murat viene sepolto nella fossa comune, questa, essendo di nuova costruzione, contiene solamente il cadavere di un popolano, soprannominato Cimminà. Dopo la sepoltura di Murat la tomba viene sigillata con spranghette di ferro e, fino al 1860, aprirla significava commettere un delitto di stato. Il 24 aprile del 1899, i nipoti diretti del Murat, e cioè la contessa Letizia ed il conte Giulio Rasponi, tentano il ritrovamento dei resti del loro antenato per dargli degna sepoltura nella Certosa di Bologna. Prendono parte alle ricerche anche il conte Ercole Estense Mosti, il conte Ettore Capialbi, il marchese Gagliardi con alcuni suoi familiari, l’onorevole Raffaele De Cesare, illustre storico, e le autorità civili e militari del tempo. Si è assolutamente fiduciosi di poter rinvenire le ossa del re, sia per il fatto che erano trascorsi “solo” 84 anni dopo la sepoltura, sia perché il Murat aveva alta statura, copiosa e folta capigliatura ed era stato fucilato indossando una giubba coi bottoni di metallo, calzando stivali, cui erano attaccati gli speroni. Si è certi, inoltre, che nella tomba non vi siano state altre sepolture. Ma tutte le congetture svaniscono allorquando, sollevato il coperchio, si scopre che la fossa è piena di ossami sino all’orlo! Infatti, si viene a sapere che le tre fosse comuni della Chiesa, in realtà, immettono in un unico sotterraneo che, durante il colera del l837 che menò grande strage in Pizzo, venne riempito del tutto di cadaveri. Le ricerche, pertanto, non danno alcun esito e la spedizione se ne ritorna a mani vuote.
Arriviamo, così, all’autunno del 1976. Iniziando i lavori di restauro della pavi¬mentazione della Chiesa Matrice, un gruppo di studiosi locali prega Mons. Giuseppe Pugliese, arciprete della Collegiata, di consentire di praticare un piccolo foro sulla terza botola della navata centrale per poter osservare l’interno della tomba che, notoriamente, era quella nella quale era stato seppellito Gioacchino Murat. Era l’unica occasione che si presentava, dato lo stato di smantellamento del vecchio pavimento e, sicuramente, un’opportunità analoga difficilmente si sarebbe ripre-sentata. E così, la sera del 6 ottobre viene praticato quel foro, di circa 30 centimetri di diametro, attraverso il quale vengono introdotte delle lampade e scattate alcune foto che, per un provocante gioco d’ombre, lasciano intravedere un particolare rassomigliante ad uno stivale, tanto da suscitare un clamore generale e da indurre ad una nuova ricognizione che avviene il 28 novembre alla presenza di un gruppo di fotografi professionisti, muniti di sofisticate apparecchiature, guidati dall’illustre Prof. Achille Canfora, direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Napoli. Ma neanche da questa seconda ispezione emerge qualcosa di utile e tutta l’operazione fallisce.
Per tutto questo tempo, di effettuare un nuovo tentativo per rinvenire i resti del povero re non se ne è parlato più. Ma oggi potrebbero esserci clamorose novità. Nei mesi scorsi, il presidente dell’Associazione Culturale “Murat”, prof. Pino Pagnotta, venuto in possesso del materiale fotografico prodotto nel 1976, da un’attenta analisi eseguita su quei documenti si ritiene più che certo di avere individuato un particolare che potrebbe condurre al rinvenimento dei resti del Murat, dopo 192 anni dalla sua sepoltura. Si tratterebbe, senz’altro, di un evento storico e straordinario che proietterebbe la città di Pizzo in un interesse culturale internazionale. Oltretutto, per come sostiene Pagnotta, il finanziamento di questa operazione richiederebbe solo poche migliaia di euro. E così, quel mistero che nel corso della storia ha attratto l’attenzione e la curiosità di studiosi, storici, critici ed illustri viaggiatori, potrebbe essere finalmente rivelato.
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Giovedì 26 novembre 2009
PROSPEZIONE MEDIANTE GEORADAR DELLA CHIESA DI SAN GIORGIO
Procede il progetto per la ricerca delle ossa di Re Gioacchino.
Giovedì 26 novembre 2009 la Società RODECO SPA, così come preannunciato dal Sindaco di Pizzo Fernando NICOTRA, ha proceduto alla prospezione mediante georadar della Chiesa di San Giorgio. Si tratta di una indagine geofisica mediante tecnologia georadar denominata in breve GPR acronimo inglese di Ground Penetrating Radar, per la realizzazione del “PROGETTO RICERCA SU SCHELETRO GIOACCHINO MURAT”.
Le finalità che la Società vuole raggiungere con lo studio dei sotterranei della Chiesa di San Giorgio si esplicano nella determinazione del rilievo di presenze antropiche nel sottosuolo proponendosi di individuare i resti mortali di Giacchino Murat, che, dopo la fucilazione, fu sepolto nella Chiesa di San Giorgio al fine di effettuare una analisi comparativa del Dna dei resti con quello degli attuali discendenti diretti. Tale metodologia fornisce in modo rapido e non distruttivo l’individuazione e la mappatura del sottosuolo, rivelandosi uno strumento di esplorazione sotterranea in archeologia e nel campo diagnostico della conservazione e restauro dei beni architettonici. Sono previste le restituzioni dei dati su supporto cartaceo nei quali i risultati del rilievo sono presentati con sezioni-tempi o con sezioni-profondità opportunamente rappresentate in toni di grigio. E’ prevista anche l’intrusione di una videocamera miniaturizzata con la missione di filmare quanto più possibile del contenuto della fosse mortuaria.
Inizia così il primo vero tentativo di ricerca antropologica delle ossa del Re dopo quello tentato dai parenti del Re Gioacchino nel lontano 1899.
Lo storico Raffaele De Cesare pubblicò, in un opuscoletto intitolato « Museo di espiazione al Castello di Pizzo », una sua lettura tenuta al Circolo Filologico di Napoli il 10 Maggio 1911. Ecco quanto egli scrisse a proposito di quelle ricerche:
« …Sulla tradizione locale e sulla testimonianza del Condoleo, contemporaneo, Ettore Capialbi era persuaso che il corpo di Gioacchino Murat fosse stato sepolto nella nuova Chiesa Matrice dedicata a San Giorgio Martire, e precisamente nella terza fossa… e che in questa avesse avuta sepoltura un pezzente notissimo di Pizzo; e non più nessuno. Facile dunque ricercare le ossa del Re, che aveva statura di gigante, copiosa e folta capigliatura, e denti bellissimi. Aveva 48 anni ed era nel vigore della vita. Era stato fucilato indossando una giubba coi bottoni di metallo, e calzando stivali, cui erano attaccati gli speroni. …Tale sicurezza mosse la nobile contessa Letizia Rasponi, figlia di Luisa Murat, ad accogliere l’invito di andare a Pizzo a rinvenire, dopo 84 anni, i resti mortali del suo avo, che si sarebbero raccolti e portati alla Certosa di Bologna. …Si aveva la certezza di trovare i resti di Gioacchino, che di accordo si era stabilito, ripeto, di trasportarli nella Certosa di Bologna dov’è il gran monumento di lui, opera mirabile del Vela. Nel tempo stesso sì sarebbe trasportato da Firenze il feretro della regina Carolina; nonché quelli delle loro figlie, Luisa Rasponi e Letizia Pepoli. … Si partì da Roma il 22 aprile 1899 è si giunse a Pizzo nelle ore pomeridiane del 23. …Al tocco del 24 Aprile era fissata la cerimonia. Il popolo di Pizzo si affollava innanzi alle porte della Chiesa, così che fu necessario, che soldati e carabinieri le proteggessero da una invasione. Tutti volevano assistere a quella funzione, così nuova nella loro storia. Il parroco indossò la stola, e a capo di preti e chierici, aprì il corteo intorno alla sepoltura, benedicendola con l’aspersorio. Poi cominciò l’operazione di sollevamento del coperchio…………….-»
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2004 Prima edizione della rievocazione storica dello Sbarco, arresto, condanna e fucilazione del Re Gioacchino Murat.
Febbraio 2002 Costituzione dell’Associazione Culturale Gioacchino Murat Onlus. L’Associazione pone al centro del suo oggetto sociale la diffusione della storia murattiana e la valorizzazione e tutela dell’immagine del grande Re sepolto a Pizzo.
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1995 Costituzione dell’Associazione Culturale Pro Castello di Pizzo
Essa pone al centro della sua attività la valorizzazione della figura del Re Gioacchino Murat e del Castello di Pizzo. Opera con alterne vicende fino al 2002 anno in cui un gruppo di ex soci della Pro Castello costituisce con Atto Notarile la Murat Onlus.
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28 Novembre 1976
Esplorazione fotografica della Tomba di Gioacchino Murat LA TOMBA DI GIOACCHINO MURAT di Domenico Curatolo
Don Tommaso Antonio Masdea canonico decano dell’insigne Collegiata di Pizzo e confessore del morituro Sovrano, nel racconto pubblicato nel libro di G. Romano «Ricordi Murattiani» afferma:
— « Il cadavere di Gioacchino Murat riposto in un baule foderato di taffetà nera, fu sepolto nella Chiesa Matrice da lui beneficata… »,.
Antonino Condoleo che assistette alla sepoltura, così la descrive nella sua «Narrazione» pubblicata da E. Capialbi: — « …L’insanguinato cadavere fu subito messo in una rozza cassa di abete e fu portata da dodici soldati nella Chiesa Matrice. Nel deporla a terra, per l’urto ricevuto o perché mal connessa, la cassa si aprì negli spigoli. Oh, visione incancellabile di quel volto pallido, sfigurato da una pallottola che aveva orribilmente solcata la sua gota destra, di quegli occhi spenti, di quella bocca socchiusa, che pareva volesse terminare qualche incominciata parola, di quell’aria guerriera che la stessa morte non aveva potuto cancellare dal suo sembiante! Rattoppata alla meglio la cassa, con tutta sollecitudine, fu gettata nella fossa comune… ».
Il Condoleo è più prolisso del Masdea, ma i due racconti tranne che per alcuni particolari marginali, concordano nell’indicare come luogo di sepoltura la Chiesa Matrice di Pizzo. D’altronde il luogo di sepoltura è chiaramente indicato nello stesso atto di morte esistente nel libro dei defunti dell’anno 1815 custodito nell’Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice di San Giorgio Martire che testualmente trascrivo:
—« Anno Domini 1815 — die vero decimo tertio Octobris – Pi¬tii – Joachinus Murat Gallus ex rex civitatis, aetatis suae anno¬rum quadraginta quinque circiter, SS. Sacramento poenitentiae cx¬piatus, a Commissione militari damnatus, mortem appetiit, et fuit e¬jus corpus in hac insigni collegiali ecclesia sepultum ». —
La Chiesa Matrice di Pizzo, come le altre chiese esistenti nella ridente cittadina, raccolse, da tempo immemorabile, le spoglie mortali dei pizzitani. Fu semidistrutta dal terribile terremoto del 28 marzo 1783 e nel riedificarla si progettò di allungarla di un terzo della sua primitiva lunghezza per renderla capace di accogliere la popolazione di Pizzo che allora contava circa cinquemila abitanti. I lavori di ricostruzione si protrassero per alcuni decenni tanto che, ai tempo dell’occupazione francese, la Chiesa era ancora incompiuta; infatti, il 25 maggio del 1810, Gioacchino Murat di passaggio a Pizzo, elargì la somma di duemila ducati per il proseguimento dell’opera. L’allungamento della navata centrale comportò lo spostamento dell’abside e della sacrestia che furono ricostruite sopra le primitive tombe comuni poi abbandonate e ricoperte dalla pavimentazione. Le tombe gentilizie situate nella navata centrale della Chiesa, non furono mosse e tuttora testimoniano, coi loro coperchi marmorei finemente scolpiti, un’epoca di privilegi, e di distinzioni sociali. Sorse allora il problema di edificare nuove tombe comuni che vennero costruite nella navata centrale in prossimità dell’ingresso principale della Chiesa, tra le tombe gentilizie situate lungo i lati della navata grande. A riprova di quanto asserito c’è il fatto, storicamente accertato che, quando il cadavere dell’infelice Sovrano venne sepolto nella fossa comune, questa, essendo di nuova costruzione, conteneva solamente il cadavere di un popolano soprannominato « Cimminà ». Dopo il seppellimento di Murat la tomba fu sigillata con spranghette di ferro e, fino al 1860, aprirla significa, commettere un delitto di stato.
Nel 1899 alcuni parenti di Murat tentarono il ritrovamento dei resti del loro glorioso avo per dargli degna sepoltura nella Certosa di Bologna. Presero parte alle ricerche la Contessa Letizia e il conte Giulio Rasponi, nipoti diretti di Murat, il conte Ercole Estense Mosti, il conte Ettore Capialbi, , il marchese Gagliardi con alcuni suoi familiari, l’onorevole Raffaele De Cesare illustre storico e le autorità civili e militari del tempo. Lo storico Raffaele De Cesare pubblicò, in un opuscoletto intitolato « Museo di espiazione al Castello di Pizzo », una sua lettura tenuta al Circolo Filologico di Napoli il 10 Maggio 1911. Ecco quanto egli scrisse a proposito di quelle ricerche:
— « …Sulla tradizione locale e sulla testimonianza del Condoleo, contemporaneo, Ettore Capialbi era persuaso che il corpo di Gioacchino Murat fosse stato sepolto nella nuova Chiesa Matrice dedicata a San Giorgio Martire, e precisamente nella terza fossa… e che in questa avesse avuta sepoltura un pezzente notissimo di Pizzo; e non più nessuno. Facile dunque ricercare le ossa del Re, che aveva statura di gigante, copiosa e folta capigliatura, e denti bellissimi. Aveva 48 anni ed era nel vigore della vita. Era stato fucilato indossando una giubba coi bottoni di metallo, e calzando stivali, cui erano attaccati gli speroni. …Tale sicurezza mosse la nobile contessa Letizia Rasponi, figlia di Luisa Murat, ad accogliere l’invito di andare a Pizzo a rinvenire, dopo 84 anni, i resti mortali del suo avo, che si sarebbero raccolti e portati alla Certosa di Bologna. …Si aveva la certezza di trovare i resti di Gioacchino, che di accordo si era stabilito, ripeto, di trasportarli nella Certosa di Bologna dov’è il gran monumento di lui, opera mirabile del Vela. Nel tempo stesso sì sarebbe trasportato da Firenze il feretro della regina Carolina; nonché quelli delle loro figlie, Luisa Rasponi e Letizia Pepoli. … Si partì da Roma il 22 aprile 1899 è si giunse a Pizzo nelle ore pomeridiane del 23. …Al tocco del 24 Aprile era fissata la cerimonia. Il popolo di Pizzo si affollava innanzi alle porte della Chiesa, così che fu necessario, che soldati e carabinieri le proteggessero da una invasione. Tutti volevano assistere a quella funzione, così nuova nella loro storia. Il parroco indossò la stola, e a capo di preti e chierici, aprì il corteo intorno alla sepoltura, benedicendola con l’aspersorio. Poi cominciò l’operazione di sollevamento del coperchio, la quale fu lunga, poiché la fossa, da oltre sessant’anni non più aperta, era fermata da arruginite spranghette di ferro. Ci vinceva tutti una commozione che si può immaginare. Ma, ahimè, scoperchiata la fossa, avemmo il più desolante disinganno: la sepoltura è piena di ossami sino all’orlo. Vi discende un operaio ed esplora; si vede qualche piccola cassa che va in polvere appena toccata. Ci guardiamo, quasi non fiatando. Cade tutto quel castello di congetture, che ci aveva condotti al Pizzo! Non è possibile alcuna sicura ricerca in tali condizioni. Si apre la seconda fossa, e poi la terza, ma sono tutte ricolme di ossami. Un raggio di sole, penetrando nella buca di mezzo, fa nota una circostanza, che nessuno sapeva o immaginava.
Non erano tre sepolture distinte sul pavimento della Chiesa, ma una sola, con tre bocche. Durante il colera del l837, che menò strage in Pizzo, i cadaveri furono buttati in quell’unica sepoltura dalla bocca di mezzo; e poi, allargati a destra e a sinistra, fino al punto che il sotterraneo si riempi tutto; e rinchiuso, non fu più violato. Tale circostanza non era nota a nessuno. …Non vi era da far altro, che accettare l’insuccesso, e redigere, dopo cinque ore di lavoro, e assai malinconicamente, un verbale… ».
Il verbale,compilato dal segretario comunale del tempo, conferma quanto dice il De Cesare e porta in calce le firme di tutti i partecipanti alle ricerche.
Dalla descrizione del De Cesare emerge la circostanza che non erano tre tombe distinte, ma tre botole che immettevano in un unico sotterraneo. Sicuramente il fatto non era noto neanche alle autorità borboniche del 1815 che, diversamente, non avrebbero consentito l’apertura della tomba dopo l’inumazione in essa di Murat. Dai registri custoditi nell’Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice risulta che nei giorni successivi alla inumazione di Murat, altre salme furono seppellite, nell’unica fossa comune esistente nella Chiesa e tali inumazioni continuarono negli anni seguenti sino all’ultima avvenuta il giorno undici Dicembre dell’anno 1837. Sul finire di quell’anno, si verificò, infatti, una epidemia di colera che mietè centinaia di vittime nella sola Pizzo, per cui, sospese le inumazioni , nelle Chiese, lo stesso giorno undici Dicembre 1837, iniziò a funzionare un piccolo camposanto costruito nel fondo rustico denominato « Gallo » di proprietà dei marchesi Stillitani di Pizzo. Questo piccolo cimitero, del quale si possono osservare ancora i ruderi del muro di cinta e di alcune tombe, funzionò per pochissimo tempo ed in esso vi furono seppellite le salme di 136 colerosi.
L’editto napoleonico di Saint Cloud non era ancora operante in quel tempo a Pizzo per cui, cessata l’epidemia di colera, il giorno 3 Maggio del l838 ripresero le sepolture nelle Chiese ad esclusione di quella di San Giorgio Martire la cui unica fossa comune era stata colmata fino all’orlo con l’epidemia colerosa dell’anno precedente.
Nell’autunno del 1976 iniziarono i lavori di restauro della pavimentazione della Chiesa Matrice e con un gruppo di amici pregammo Mons. Giuseppe Pugliese, arciprete della Collegiata, di consentirci di praticare un piccolo Foro sulla terza botola della navata centrale per poter osservare l’interno della tomba che, notoriamente, era quella nella quale era stato seppellito Gioacchino Murat. Era, pensammo, l’unica occasione che si presentava dato lo stato di smantellamento del vecchio pavimento e, sicuramente, un’opportunità analoga difficilmente si sarebbe ripresentata. Il buon Mons. Puglièse, sensibile alle nostre insistenti preghiére, ma alquanto titubante per l’immancabile clamore che il fatto avrebbe suscitato, ci consentì l’apertura del foro a condizione che l’operazione avvenisse nel modo più sbrigativo e alla presenza del sindaco del tempo Dott. Domenico Crupi. Infatti la sera del 6 ottobre, armati di martelli e scalpelli, muniti di grosse lampade e di macchine fotografiche, riuscimmo ad aprire un foro di circa 30 centimetri di diametro, appena sufficiente per poter osservare l’interno della tomba, introdurre una lampada e scattare alcune fotografie. L’interno della tomba corrispondeva esattamente alla descrizione fatta dal De Cesare: si notava un ammasso di ossa spesso, ricoperte con della calce bianca disinfettante, si notava qualche cassa infracidita ed era evidente che si trattava di un unico sotterraneo. Dopo circa un’ora di attenta osservazione il foro fu rinchiuso con del cemento.
Con gli amici appassionati di storia locale formammo subito un comitato permanente con l’intento di trasformare il castello di Pizzo in museo murattiano. Furono sviluppate le fotografie scattate all’interno della tomba e alcune copie furono spedite a « Les Amis du Musée Murat », un’associazione murattiana di cui anche noi facciamo parte, che ha sede a La Bastide Murat (Francia).
Alcuni giorni dopo, osservando attentamente una delle fotografie scoprimmo, confuso nel mucchio di ossa, un particolare sensazionale: nientemeno che uno stivale di foggia napoleonica con un qualcosa che sembrava uno sperone si¬tuato nella giusta posizione, chiaramente visibili. La medesima scoperta fecero gli amici del Museo murattiano in Francia e provvidero subito a far venire a Pizzo il Console Generale di Francia a Napoli Sig. Gerard Serre. Non era possibile che la sera del 6 Ottobre ,fosse sfuggito all’osservazione diretta e attenta dell’interno della tomba a diverse persone un particolare di tanta importanza. Il fatto suscitò quel clamore paventato da Mons. Pugliese ed ebbe grande risonanza.
Il 28 novembre 1976, alla presenza di un gruppo di fotografi professionisti muniti di sofisticate apparecchiature fotografiche, guidati dall’illustre Prof. Dott. Achille Canfora direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Napoli, coadiuvati dagli amici del Comitato Murattiano di Pizzo, alla presenza dell’Ufficiale Sanitario Dott. Mimmo Antonetti, del Notaio Dott. Nunzio Naso e del comandante dei carabinieri maresciallo Enrico De Ruvo, fu riaperto il foro per fare osservare la tomba al prof. Canfora e per fotografarla ripetutamente. Il Prof. Canfora, conclusa l’osservazione dell’interno della tomba, tracciò un programma di operazioni preliminari e di successive ricerche da eseguirsi su basi scientifiche, non nascondendo un certo ottimismo cir¬ca la buona riuscita della identificazione dei resti mortali del prode guerriero.
Da notare che ricerche vere e proprie non furono mai svolte, poiché sia nel 1899 che nel 1976 si trattò di semplici ricognizioni visive che non ebbero seguito alcuno.
Dalla seconda ispezione della tomba eseguita il 28 novembre 1976 non emerse nulla di utile per individuare il misterioso stivale chiaramente visibile nella fotografia scattata la sera del 6 Ottobre dello stesso anno, né dall’osservazione visiva diretta, né dalla numerosa serie di successive foto. Si trattò di un provocante gioco d’ombre, o di un segno premonitore dello spirito di Gioacchino Murat che, a distanza di 161 anni dalla fucilazione, implora almeno una più degna sepoltura?
Certamente il miraggio di quello stivale servì a caricare ulteriormente l’entusiasmo dei componenti il Comitato Permanente per le Onoranze a S. M. Gioacchino Murat, il quale Comitato, ricco di fervore ma poverissimo di mezzi, riuscì solamente a sostituire, sulla tomba dell’Achille di Francia, la vecchia e mal ridotta lapide marmorea con una nuova recante la seguente iscrizione:
« Qui è sepolto il Re Gioacchino Murat. La Bastide Fortuniére 25.3.1767 – Pizzo 13.10. 1815 ».
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24 Aprile 1899
Ricerca ossa del Re Gioacchino Il voto della Regina Carolina, cioè che le sue ossa fossero un giorno riunite con quelle del Re Gioacchino, disgiunte per l’avversità dei tempi, non tu dimenticato dalla famiglia Murat.
Dopo 84 anni essa potè adempiere ad un sì pie¬toso pensiero, cercando di rinvenire nella Chiesa di S. Giorgio gli avanzi del Re. Ed a tale uopo da Fi¬renze, da Ferrara e da Ravenna si mossero in pellegrinaggio per Pizzo la Contessa Letizia Rasponi fi¬glia della Principessa Luisa Murat, l’on. Conte Giu¬lio Rasponi deputato di Ravenna, il Conte Ercole Mosii-Estense, per dar degno riposo in onorato se¬polcreto, ai resti dell’illustre loro avo.
La tradizione più costante afferma che il Re Gioacchino ebbe sepoltura, se non decente al suo alto grado, riserbata però in una tomba comunale pub¬blica, ove oltre di un certo Cimmina, uomo plebeo, non fu seppellito più alcuno.
É un fatto che a soli quattro soldati si die¬de l’incarico di seppellire segretamente il Re Murat; ed il popolo vi fu tenuto lontano. Poiché in quei giorni dell’ ottobre del 1815, mentre Gioac¬chino prigioniero doveva essere passato per le armi, quel popolo, che pria al suo invito si mostrò in¬differente, poco dopo, venuto in resipiscenza, piange¬va la misera sorte del povero Re, che anni prima, per ben due volte, lo vide nello splendore della sua maestà, e con entusiasmo lo salutò suo munificente sovrano
Ma il 24 aprile 1899 deluse le più grandi aspet¬tative e della famiglia e dell’intera cittadinanza di Pizzo; poiché la lapide del leggendario sepolcro schiu¬se alla vista dei parenti e degli astanti un enorme cumulo di ossame informe, che rese impossibile e diffìcile continuare la pietosa ricerca. A tale spettaco¬lo, l’orrore invase tutti: un grido d’indignazione contro il Borbone si elevò dall’intero paese, il qua¬le, con quell’entusiasmo pieno di vita che erompe sublime dal cuore calabrese, preparava un trionfo al primo martire dell’indipendenza italiana.
Fu presente alle ricerche la nobile dama Con¬tessa Letizia Rasponi. Ella maestosa dal portamen¬to, graziosissima ed oltremodo gentile, in quel mo¬mento era compresa nel suo dolore, nella lotta in¬tima tra il contrasto di tanti affetti, di tanti senti¬menti, di tante emozioni. Ella grave su quella tomba, ove l’ombra funerea dominava tutto, aveva negli occhi e nel sorriso un’ espressione di an¬goscia profonda e rassegnata; e stette immota per sei ore continue su quel sepolcro, in cui il mistero av¬volgeva contusi fra migliaia di avanzi umani quelli del Re suo avo.
Il Municipio di Pizzo, benché distratto per mol¬to tempo da grave cure amministrative, fu però sem¬pre riverente alla memoria di Murat. Esso propu¬gnò a far dichiarare il castello monumento nazio¬nale : sostenne giudizi per liberarlo d’alcune conces¬sioni : apri in quei locali scuole per educare i gio¬vani all’eroismo ed allo spirito di quel vero amor patrio, che ivi alita mestamente sovrano.
Il Municipio, interpretando il desiderio generale della cittadinanza, decretò due lapide commemorative, una nel Castello, l’altra nella Chiesa di S. Giorgio, e deliberò inoltre che si mettesse un quadro del Murat nella sala del Consiglio; riserbandosi a miglior tempo di sciogliere il voto di un monumento, il quale maestosamente sorgesse nella gran piazza, ove si apre uno dei più splendidi panorami del mondo.
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3 giugno 1892
IL Castello Monumento Nazionale Il Castello di Pizzo viene dichiarato monumento nazionale con Decreto del Ministro della Pubblica Istruzione Martini.
“Considerato che il Castello di Pizzo di Calabria, provincia di Catanzaro, ha importanza artistica, essendo in alcune parti conservate le principali forme della sua costruzione, ed importanza storica per le memorie del re Gioacchino Murat e dei primi tentativi dell’unità italiana.
Sentita la Commissione permanente di Belle Arti.
DECRETA
Il Castello di Pizzo in provincia di Catanzaro è dichiarato d’importanza monumentale ed iscritto nell’elenco dei monumenti.”
Roma 3 giugno 1892
Il Ministro
MARTINI
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2 dicembre 1889
Muore la Principessa Luisa Murat figlia di Re Gioacchino Muore a Ravenna la Principessa Luisa all’età di 84 anni senza che avesse potuto sciogliere il sacro voto della Regina sua madre di ricongiungere i genitori in un solo sepolcro.
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1886
Il Comune di Pizzo acquista dalla Stato Italiano la proprietà del Castello Nel 1886, per opera dell’onorevole Curcio, il Governo fece la cessione del Castello al Comune di Pizzo.
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1886 Museo murattiano di Pizzo.
L’ideale dell’Onorevole Curcio non era soltanto quello di ricercare gli avanzi del Re Murat, egli voleva che nel Castello di Pizzo si formasse un Museo Murattiano. Tenne sul proposito una lunga corrispondenza con molti illustri suoi amici. Chiese il concorso di Antonio e Pietro Ulloa, del Marchese Benedetto Maresca, Di Fortunato Giustino, del Barone Carbonelli, di Carlo Neri, del De Ferrante, del Ferrarelli, della Contessa Tattini. Invitò il celebre artista Comm. Andrea Cefaly, perché il suo pennello dipingesse la figura di Murat. Affinchè si realizzasse l’idea del Museo Murattiano, il Curcio interpose ogni suo ufficio presso il Ministero dell’Interno, interessandone, il Comm. Torchioni, il comm. Lepera, il Ministro DePretis, che aveva approvata l’iniziativa, l’On. Crispi, che a costui successe a quel Ministero, ed il suo sottosegretario di Stato On. Fortis. Alla nobile e patriottica iniziativa del Comm. Curcio fece, in particolar modo, generosamente eco il Comune di Pizzo, la cui Amministrazione, non solo promise di concorrere con un sussidio alla fondazione del Museo Murattiano, ma aveva ideato che, in memoria del re Gioacchino, sorgesse un monumento nella vicina Necropoli, là, sotto il cielo eternamente splendido, alla vista imponente dell’immenso mare, che invano invocò quello sventurato Re come suo rifugio.
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1884
Re Umberto Re Umberto ordina che, nella facciata principale della Reggia di Napoli, fra le statue degli otto capi stipite delle dinastie che dominarono nel bel reame, sorgesse quella di Murat.
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10 febbraio 1861 Il Dittatore Giuseppe Garibaldi
Il furto delle medaglie e della bandiera di Murat Il Consigliere di Luogotenenza ritornava a telegrafare:
“Elle intende bene che ha l’obbligo di obbedire senza discettazioni o disamina alle mie disposizioni, giacché l’anarchia governativa è la peggiore di tutte le anarchie. Quindi senza alcun’altra discussione si compiacerà trasmettere immantinente e sicuramente le 18 medaglie del 1816, di cui le ho fatto precedentemente parola, perché siano in questo dicastero conservate alla disposizione di Vittorio Emanuele e del suo Luogotenente Principe Eugenio. Sia poi sicura che appena mi perverranno le medaglie anzidette, io farò valutarle e le rimetterò l’equivalente valore, perché possa spenderlo in opere pubbliche di codesto Comune. Le piacerà altresì dirmi per venire bene condizionata la bandiera, che sino all’ultimo settembre si conservava nella Chiesa Matrice, perché io possa consegnarla alla lodata A.R. del Principe Eugenio”.
A tali imperiosità il Municipio fu costretto cedere perché, né i tempi erano propizi ad una opposizione legale, né le condizioni politiche lo permettevano. Quindi a mezzo di un consigliere Comunale furono consegnate al ministro Liborio Romano le 18 medaglie e la bandiera, di cui ora non si ha più traccia.
5 novembre 1860
Giuseppe Garibaldi
Il furto delle medaglie e della bandiera di Murat Il Garibaldi imperiosamente telegrafava da Caserta al Sindaco di Pizzo:
“Mandate subito qui al mio indirizzo la bandiera di Gioacchino Murat assieme a tutte le medaglie che tenete”
IL DITTATORE
Il Sindaco di Pizzo oppose una giusta resistenza a questa imposizione facendo presente al Dittatore che sia le medaglie che la bandiera erano di esclusiva proprietà del Municipio e quindi si dovevano conservare in Pizzo, come prezioso ricordo storico.
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Agosto 1860 Il Dittatore Giuseppe Garibaldi
Distruzione del monumento di Re Ferdinando IV di Borbone.
I Garibaldini in una sera di Agosto decapitarono la statua di Re Ferdinando. Duecento braccia tesero le corde assicurate al collo della statua, e l’inno di Garibaldi, cantato da tante bocche, segnava la cadenza agli strappi dati per fare rovesciare il simulacro. Ad un tratto i soldati, attaccati alle funi, dopo uno sforzo poderosissimo ruzzolarono tutti per terra: il collo marmoreo del tiranno aveva ceduto: la testa era staccatosi, battendo al suolo.
Resistette soltanto, al vandalico entusiasmo di demolizione, la splendida tela di S. Maria Salvatrice, dono pure del Borbone, in memoria del triste avvenimento del 13 ottobre 1815m che tuttora si conserva nella Cappella Reale della chiesa di San Giorgio. La Vergine nella magnificenza della sua gloria, campeggia sopra dense nubi irradiate al di sopra un’aureola di luce, che attornia il suo volto divino. Essa è sorretta dagli Angeli, esta in atteggiamento di stendere il suo ricco mantello in segno di protezione. Sul lato destro a piè del quadro si vede Napoli ed il Castello dell’Uovo, che si insinua nel mare, sulle cui torri sventola una bandiera. In fondo è il Vesuvio fumicante; e nel cielo, affuscato da nere nubi che si accavallano in segno di procella sul paesaggio, si libra un’aquila che tiene fra il becco e gli artigli un serpente che si dimena.
Il quadro, di grandi dimensioni, opera del pennello di Michele Foggia, pittore napoletano, è un prezioso lavoro artistico che desta l’ammirazione di tutti i visitatori. Esso è l’unico monumento commemorativo che si è potuto conservare alla storia.
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19 settembre 1860
Giuseppe Garibaldi Giuseppe Garibaldi aboliva con propria decreto dittatoriale i privilegi della Città di Pizzo, concessi nel 18 ottobre 1815
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29 giugno 1848
IL SACCO DI PIZZO
Dopo la fatale giornata dell’Angitola, il borbone non risparmiò le sue ire contro i concittadini di Benedetto Musolino ed il 29 giugno del 1848 Pizzo divenne teatro di un’orrenda strage: le case e la vita dei liberali furono in preda al vandalismo ed alla crudeltà delle soldatesche borboniche.
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1848 I moti rivoluzionari dell’Angitola
I MURATTIANI Subito dopo le rivolte di Parigi e di Vienna, scoppiarono anche in Italia sommosse e moti rivoluzionari che si diffusero in tutta la penisola: Napoli, Milano, Venezia, a Palermo una vasta sollevazione popolare che costrinse il sovrano Ferdinando II di Borbone a concedere la costituzione.
A questi moti rivoluzionari parteciparono anche gruppi di calabresi con capo Francesco Stocco, comandante generale delle forze insurrezionali che si andavano formando. Filadelfia era il luogo di riunione di tutte le forze insurrezionali e campo generale per la formazione del novello esercito. In Filadelfia convennero da 5 a 6 mila uomini in un lampo, e prima che il Nunziante, sbarcato a Pizzo sotto la protezione di navi da guerra, ordinasse i suoi nella piazza di Monteleone.
Il Primo scontro tra i soldati del Borbone e i Liberali del generale Francesco Stocco tra cui vi erano anche gli uomini di don Costanzo Francesco di Nicastro e gli uomini di Pasquale Pizzonia di Polia avvenne sul Ponte dell’Angitola. Si batterono da valorosi, ripiegarono solo quando era follia resistere alle soverchianti numerose truppe borboniche.
In quei poderosi certami s’illustrarono tra i tanti cittadini di Pizzo, Basilio Mele, Paolo Vacatello Pasquale e Benedetto Musolino, Giovanni Nicotera; e quando la sorte delle armi non arrise alle forze inserruzionali, essi, insieme a G. Ricciardi, L.Miceli, E, De Riso, D. Mauro, N. Lepiane e ad altri ancora, si ripararono nella terra dell’esilio; cospirando sempre con Mazzini, Poerio, Settembrini, Spaventa, Cirillo, Pisacane, per instaurare la rivoluzione italiana, sollevando le provincie del mezzogiorno, dove, alla tirannide borbonica, le aspirazioni dei murattisti volevano sostituire un regno con Luciano Murat.
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18 maggio 1839
Morte della regina
Carolina Bonaparte Il 18 maggio 1839 a Firenze muore la regina Carolina Bonaparte e viene sepolta provvisoriamente in una Cappella della Chiesa di Ognisanti. La regina che in seguito alla mutata fortuna aveva abbandonato il titolo di regina, per quello di contessa di Lipona, morendo nel 1839 aveva espresso il desiderio che le sue ossa fossero un giorno congiunte a quelle del Re. Ella giace ancora in una cappella della Chiesa di Ognisanti a Firenze, ed invano i suoi parenti, il 24 aprile 1899, cercarono di sciogliere il sacro voto.
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1825
Matrimonio della Principessa Luisa Murat La principessa Luisa Murat, dopo dieci anni di regia e dieci altri di esilio, nel 1825 sposava il Conte Giulio Rasponi colto e gentile patrizio di Ravenna, e la liberalissima città, ultimo ostello di Dante, accoglieva riverente la figlia del vincitore di cento battaglie.
Fu suo costante pensiero il ricercare le spoglie dello sventurato genitore, per darne degna sepoltura.
Nel 1874 il figlio di Lei, Gioacchino Rasponi, allora Prefetto a Palermo, cominciò a fare le pratiche per rinvenire in Pizzo le ossa del suo grande avo. Non mancò in seguito d’interessare il governo, ed il De Pretis aveva dato le più ampie assicurazioni di appoggio per le ricerche. Cooperatore instancabile della Principessa Luisa era in Comm. Giorgio Curcio di Pizzo.
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12 Aprile 1816
Decreto di Re Ferdinando
con i privilegi Il decreto, dato in Napoli il di 12 Aprile 1816 è il seguente :
FERDINANDO IV
per la grazia di Dio Re delle Due Sicilie
Visto il Nostro R. Decreto del 18 Ottobre del passato anno 1815, col quale dopo aver premiato la nostra fedelissima Citta del Pizzo per aver preservato il Regno dalla Rivolta e dalla Guerra civile, che Gioacchino Murai co’ suoi seguaci avea cercato d’eccitare, ci riservammo nell’art. 7 di dare de’ particolari segni della nostra Real Soddisfazione agl’Individui che s’erano particolarmente distinti, in seguito delle notizie sicure, che attendevamo dalle Autorità Superiori;
Trovandoci oggi in grado d’adempiere, sull’informi che ci sono stati presentati, la Nostra Real promessa, sulla proposizione del nostro Segretario di stato Ministro di Grazia e Giustizia, abbiamo decretato e decretiamo quanto siegue:
Art. 1. Conferiamo al Maresciallo di Campo, Nunziante il titolo di Marchese per sè e suoi discendenti, ed una pensione di D. 1500 vita durante.
Al Colonnello Trentacapilli la dignità di Cav. Commendatore del R. Ordine di S. Ferdinando e del merito, ed una pensione vitalizia di D. 1000.
.Nominiamo il B.ne D. Cesare Melecrinis, D. Raffaele Trentacapilli e D. Giorgio Pellegrino Cav. di Grazia del R. Ordine Costantiniano, e concediamo a ciascuno d’essi una pensione vitalizia d’annui D. 300.
Nominiamo del pari Cavaliere di Grazia del R. Ordine Costantiniano D. Francesco Alcalà e D. Giovanni La Camera Procuratore Regio presso la Corte Criminale di Catanzaro.
Conferiamo il beneficio di Regio Patronato sotto il titolo dell’Annunziata di Bagoldi al Can. D. Giov. Battista Melecrinis nominandolo anche Cavaliere di Grazia del R. Ordine Costantiniano, ed il beneficio di R. Patronato sotto il titolo di Spirito Santo d’Aiace al Can. D. Antonio Jannaci.
Concediamo una pensione vitalizia di annui D. 150 a D. Giuseppe Pirrone, altra di D. 120 vitalizi a Foca Callipo, altra di annui D. 100 per ciascheduno a D. Francesco Alemanni, Francesco Salomone, Antonio Jannaci, e F.lli Rocco, Domenico e Fortunato Sardanelli.
Altra pensione di annui D. 72, ciascheduno a Mariano Polia, Giuseppe Callipo. Filippo La Tessa, Domenico di Leo, Nicola Vinci, Gennaro Feroleto, Francescantonio Polito, Francescantonio Perri di Nicola , Emanuele Tozzo, Antonio Tavella, Agazio Vetrano, Pasquale Agliotta; Diego, Vincenzo e Geronimo Ventura.
Concediamo una piazza franca nel R. Liceo di Reggio ad un figlio di D. Maurizio de Sanctis, e finalmente concediamo al Can. Jannaci, D. Giuseppe Perrone. D. Francesco Alemanni. D. Francesco Salomone, D. An¬tonio Jannaci, Foca Callipo, a’ F.lli Rocco. Domenico e Fortunato Sardanelli, Mariano Polia, Giuseppe Callipo, Filippo La Tessa, Domenico di Leo. Nicola Vinci, Gennaro Feroleto, Domenico Feroleto, Francesco Antonio Perri di Nicola, Emanuele Tozzo, Antonio Tavella, Agazio Vetrano, Pasquale Agliotta; Diego, Vincenzo e Geronimo Ventura di poter portare alla bottoniera una fittuccia di colore Rosso Borbonico con medaglia d’argento simile a quella d’oro coniata per il Sindaco, Eletti e Decurioni pro tempore del Pizzo.
Art. 2. Tutte le suddette pensioni s’intendono accordate dal di 8 dello scorso mese di Ottobre 1815.
Napoli 12 Aprile 1816.
FERDINANDO
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Regio Decreto dell’8 ottobre 1815
Portici, li 18 ottobre 1815
FERDINANDO IV PER LA GRAZIA DI DIO RE DELLE DUE SICILIE, ecc.
Considerando che, mentre tutto il Regno di Napoli, cessata l’occupazione militare, riposava sotto il Nostro legittimo dominio, e mentre le nostre cure paterne erano ri¬volte a far obbliare ai nostri popoli i mali sofferti; il disbarco eseguito sulla costa del¬la Calabria Ulteriore da Gioacchino Murat a mano armata, altro disegno non avea, come le di lui operazioni, e de’ suoi se¬guaci han dimostrato, che di eccitare i nostri popoli alla rivolta contro alla no¬stra Autorità Reale, e di accendere nei nostri Stati la Guerra civile;
Considerando che il popolo del Comu¬ne del Pizzo, nella di cui rada il disbarco è stato eseguito, non solamente ha saputo resistere alla seduzione, all’ audacia, alle minacce, ed alle armi, impiegate in questa improvvisa incursione: ma dippiù animato da quella inviolabile fedeltà, che Noi ci at¬tendevamo in simile circostanza dai nostri buoni, e leali sudditi, e mosso da generoso zelo contro il perturbatore della pace pub¬blica, ha prontamente imprigionato Gioac¬chino Murat, ed i suoi seguaci;
Volendo premiare questo esempio di fedeltà verso di Noi, e di zelo per la pa¬tria, e tramandare ai posteri la memoria di questo avvenimento, che ha preservato la nazione napoletana, e l’Italia da un cumulo di disastri;
Abbiamo decretato, e decretiamo quan¬to siegue
Art. I
Il Comune del Pizzo porterà per l’av¬venire il titolo di Città fedelissima.
Art. II
Gli attuali Sindaco, Eletti, e Decurioni della nostra fedelissima Città del Pizzo, e tutti coloro, che per l’avvenire occuperanno nella medesima queste cariche, sono auto¬rizzati ad insignirsi, durante il tempo del¬l’esercizio di esse loro cariche, di una me¬daglia d’oro che sarà da noi fatta coniare. L’emblema della medaglia, ed il modo di farne uso saranno determinati con un re¬golamento particolare, che sarà presentato alla Nostra approvazione dal Nostro Segre¬tario di Stato Ministro di Grazia, e Giu¬stizia.
Art. III
Restano per sempre abolite le gabelle civiche, che oggi si pagano nella Nostra fedelissima Città del Pizzo sugli oggetti di consumazione; nè per l’avvenire se ne po¬tranno nella medesima imporre delle altre. Noi dal Nostro Tesoro Reale faremo prov-vedere annualmente a tutti i bisogni a’ quali sono, e potrebbero essere in seguito destinate le dette gabelle, facendo sommi-nistrare a tale oggetto alla detta fedelissima Città una somma annuale, che non sarà mai minore dell’attuale prodotto di esse gabelle di consumazione, calcolato nello stato discusso di questo anno per ducati 3164.
Art. IV
In ogni anno sarà dispensata gratuita¬mente agli abitanti della Nostra fedelissima Città del Pizzo quella quantità di Sale che sarà necessaria ai loro usi, che sarà calcolata a ragione di rotola sei a
testa, se¬condo il regolamento particolare, che ne sarà formato dal Nostro Segretario di Sta¬to Ministro delle Finanze.
Art. V
La Chiesa della Nostra fedelissima Città del Pizzo sarà compiuta a spese del Nostro R. Tesoro.
Art. VI
Nella Marina della Nostra fedelissima Città del Pizzo sarà eretto un monumento, che rammenti alla posterità i privilegi da Noi conceduti col presente decreto, e l’o¬norevole motivo della Nostra concessione. Il Nostro Ministro dell’Interno ci presente¬rà un modello di questo monumento.
Art. VII
Ci riserbiamo di dare dei particolari segni della Nostra Real soddisfazione alle persone, che si saranno particolarmente distinte in questa circostanza, dietro le sicure notizie che ci perverranno dalle autorità superiori.
Art. VIII
Copia conforme del presente decreto sarà consegnata alla Deputazione da Noi inviata dalla Nostra fedelissima Città del Pizzo, per esser conservata nei suoi Archivi.
Art. IX
I Nostri Ministri Segretari di Stato ciascuno per la parte che a lui spetta sono incaricati della esecuzione del presente De-creto.
firmato
FERDINANDO
Da parte del Re Il Ministro Segretario di Stato
TOMMASO DI SOMMA
Per copia conforme Il Segretario di Stato Ministro di Grazia e Giustizia
(firma autografa)
M. TOMMASI
Sigillo: Min. di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici.
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18 ottobre 1815
Ferdinando IV di Borbone
Re Ferdinando di Borbone con propria regio decreto concede alla Città di Pizzo privilegi per la fedeltà dimostrata in occasione dello sbarco di Gioacchino Murat. Nello stesso ordina anche l’erezione di un monumento, per rammendare alla posterità i privilegi da lui concessi nonché l’erezione di una monumento a ricordo dei tragici avvenimenti.
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13 ottobre 1815 Muore al Castello del Pizzo Re Gioacchino Murat, Re delle due Sicilie.